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Il Re CenZore

se ne sentiva proprio la mancanza...

IL PADRE DEI MIEI FIGLI (il cinema è morto)

"Il cinema è morto". Non lo dico io. Lo dice, tramite le immagini del suo film, Mia Hansen-Løve. E non chiedetemi chi è, non sono mica wikipedia ...

Insomma il cinema è morto. E' questa l'estrema sintesi de Il padre dei miei figli, il suo film che ho visto stasera e per cui non finirò di ringraziare chi mi ci ha portato. O questa, o l'identità assoluta con la corrente che trova maggiori adesioni non solo in Italia, a quanto pare, ovvero il velinismo. Che consiste nel sostenere che chiunque è in grado, oggi, di far parte del mondo dello spettacolo. Attori che non sanno recitare, ballerine che non sanno ballare, presentatori che non sanno presentare, registi che non sanno girare. Solo ai calciatori, chissà ancora fino a quando, è richiesto assurdamente di saper giocare a calcio.

Difatti, se qualcuno ha prodotto questo film, io domani mattina appena mi alzo sarò uno dei maggiori registi, sceneggiatori e produttori europei. Ma ho un po' di soggezione, per cui penso che dovrete fare ancora a meno dei miei capolavori.

Le storie vanno raccontate dall'inizio, e partiamo dall'inizio.

Sto tizio che sembra un francese ha un ufficio sgangherato ma si scopre essere un produttore cinematografico alle prese con un regista svedese pazzoide, una gang di coreani e la sua splendida famiglia.

Mi sa che lo sto raccontando troppo bene.

Invece la noia è mortale, tanto che a un certo punto lui si spara. Senza manco uno schizzo di sangue inquadrato...

Allora uno si aspetta la svolta del film, che invece di decollare si inabissa in una serie di inquadrature fisse e inspiegabili che sarebbe troppo lunga se durasse tre secondi. Invece dura ancora un'ora. E alla fine possiamo stabilire che la troupe era composta di un operatore con una macchina fissa, un tecnico del suono e un truccatore, che per altro riempiva il volto degli attori di un tipo di cerone al botulino, visto che tutti sono del tutto inespressivi. C'è anche un tocco di fiera italianità, grazie alla presenza di Chiara Caselli. O della sua copia di cera. Non fa molta differenza.

Nel frattempo possiamo anche supporre che i dialoghi li abbia scritti Eta Beta a corto di naftalina, per cui non c'è nemmeno la scusante che fosse sotto acido, e che il montatore, mentre editava il film, guardava le partite della nazionale francese agli ultimi mondiali. L'unica squadra che è riuscita nell'ardito compito di far peggio dell'Italia.

Menzione d'onore per la ragazzina che interpreta la maggiore delle figlie del protagonista. La quale è l'unica attrice in tutto il film ad avere qualche sussulto di espressività, che raggiunge l'apice quando il suo personaggio si innervosisce, roteando gli occhi verso gli angoli come in preda a una crisi epilettica.

Ma sicuramente non ho capito niente, non sono in grado di percepire la reale essenza di questo capolavoro della settima arte. Probabilmente si tratta di un film avveniristico, in cui gli attori non sono uomini ma automi. Certo, avrebbero potuto realizzarli meglio. Ma non stiamo a lamentarci.

Evviva Nanni Moretti che al nuovo sacher ci propina sti bei capolavori.

Mi è passata la voglia di andare in pasticceria...
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