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Il Re CenZore

se ne sentiva proprio la mancanza...

THIS IS ENGLAND - e la storia?

Un film dovrebbe raccontare una storia, non la storia. Questo è quello che penso io dal mio buco scavato nella trincea dietro la quale combatto il mondo, ma non sono solo. Non sto qua a fare l'elenco dei critici che intendono il cinema in questo modo, troppo lungo e noioso. Il punto è che se ti riferisci a un determinato contesto per fare un film, e lo ricostruisci minuziosamente mettendoci dentro pure dei personaggi azzeccati, sei solo all'inizio della tua opera. Invece This Is England finisce là, al contesto. La recenZione potrebbe finire pure qua, se non chè mi va di dire pure dell'altro, e alla fine scopriremo cosa. Perchè c'è da fare un piccolo preambolo - e se siete arrivati a questo punto ve lo siete già scampati indenni - una serie di considerazioni e alcune, poche, conclusioni. 
La ricostruzione del contesto, dicevamo, è fantastica. Sobborgo non meglio identificato di una cittadina inglese nel 1983, le sottoculture punk e mod, la Tatcher, le prime popstar, i capelli tinti, gli skin head, l'integrazione, gli slumbs, la guerra delle Falkland. Tutto messo dentro un calderone bello bello e anche in buon ordine, con buona coerenza. Detto questo manca la storia, l'evoluzione dei personaggi. C'è il bambino orfano di guerra disadattato in una nuova casa e una nuova scuola. C'è la mamma vedova vestita da hippie che non riesce a stargli dietro. Ci sono i compagni di scuola che lo emarginano. C'è la nuova comitiva che lo accoglie e lo porta nei palazzoni abbandonati a distruggere le suppellettili. Ci sono le teste di cazzo. C'è l'ex galeotto a cui è legato il nuovo capo banda che poi si rivela essere uno skin head e allora lì la tensione sale. Pare che debba succedere qualcosa di profondo, di violento, di irrinunciabile da un punto all'altro. E aspettiamo. Si, siamo qua. La musica è bella eh, le canzoni stupende, il loro scorrere un po' didascalico, un po' troppo. Ma canzoni stupende davvero. Gli intermezzi al piano sono un po' da latte alle ginocchia, non hanno nulla di british. Ma noi rimaniamo qua ad aspettare il punto di svolta del film. Quello in cui il cattivo farà quell'azione senza ritorno e da lì in poi sarà guerra, sarà la perdizione, sarà azione o ignavia. Niente, sto momento non arriva. Oddio, non arriva, secondo me nelle intenzioni arriverebbe pure. Ma è come un coito interrotto. Il climax scema, l'azione si svolge ma è edulcorata, e conduce immediatamente a un finale simbolico che più didascalico di così non potrebbe essere, con nemmeno un'idea di cinema narrativo, semplicemente quella bandiera con la Croce di San Giorgio buttata come un qualsiasi cencio in mare. Neanche uno svolazzo, un ultimo garrito al vento. Niente. Non si capisce cosa succede ai personaggi, nell'intimo, come si evolvono. Rimane il contesto. Ma non si può fare un film su un contesto, non si fanno manco i documentari solo sul contesto. Ovviamente sto film ha preso un premio alla Festa del Cinema di Roma, che mira a strappare via da Venezia la bandiera di festival dei film sgrammaticati lenti e con poco senso. Pazienza, ce ne faremo una ragione. Alla fine del film non ho potuto fare a meno di ricordare il rockumentary sui Sex Pistols di Julien Temple, non Kubrick, con il mirabolante costrutto di ispirazione shakespeariana secondo cui Johnny Rotten sarebbe un Riccardo III dei giorni nostri. Vabbè, accontentiamoci della colonna sonora, tenendoci strettissime le canzoni originali e buttando nel cesso gli intermezzi al piano. Avete la curiosità di sapere chi le suona? Non credo che vogliate veramente saperlo. Ma non c'entravano veramente nulla con tutto il film...




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