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Il Re CenZore

se ne sentiva proprio la mancanza...

IL CONCERTO, una bella occasione perduta

Leonid Il'ič Brežnev è stato capo di stato dell'Unione Sovietica a cavallo tra gli anni 70 e gli anni 80. Aveva un aspetto truce e serioso ma contemporaneamente familiare. Come se fosse un nonno burbero. A me, che all'epoca ero proprio piccolino, quando mi capitava di vederlo sul Seleco in bianco e nero di famiglia dava proprio quell'impressione. E ricordo che gli avevo anche affibbiato il nomignolo: sopracciglione. Che mi faceva molto ridere. Per questo motivo, per un moto di innata simpatia che il nomignolo, più che lui stesso, mi ispirava, ho sempre fatto fatica a collocarlo storicamente come personaggio politico, tanto più dopo l'icona del bacio con Honecker. L'ultimo erede dello stalinismo, tra tutti gli orrori perpetrati, ebbe anche quello di aver epurato dall'Orchestra Sinfonica del Bolscioi tutti i musicisti ebrei. E' proprio questo lo sfondo del film Il Concerto, ibrido romeno-belga-francese che ho visto ieri sera su Sky, che inizia nella suggestione della grande letteratura russa. L'anima di Gogol, di Turgenev e di Dovstoevskij rivive nella descrizione del popolo di Mosca, preso tra burocrazia e tradizione, tra misticismo e materialismo, dove è ancora visibile la lunga ombra del soviet sui palazzi dei mafiosi moderni. L'inizio è molto invitante. E la trama si svolge in maniera corale. Ognuno, proprio come in una grande orchestra sinfonica, partecipa con i propri scopi al disegno generale, imprevedibile e insoluto fino alla fine. Solo che... Solo che a un certo punto il film diventa un polpettoncino francese. Da grande tomo, un po' austero sulle prime ma che poi si apre piano piano svelando tutti i caratteri dell'umanità, diventa un libello sugli slanci sentimental-trasgressivi adolescenziali dei vicoli di Parigi. Dalla grande madre Russia al Moulin Rouge. Ma dura poco eh, poi il tono si riprende. Però c'è un altro però. La pretesa di far coincidere l'inaspettato, il mistico e il miracoloso con il fatto che un'orchestra, senza aver suonato una nota di prova, si ritrovi dopo vent'anni a eseguire in maniera impeccabile ed emozionante il concerto per violino di Tchaikovskij, è un'assoluta stronzata, che delegittima completamente tutti i buoni intenti del film. Ok, simpatici i siparietti dei vari musicisti dispersi, raccattati in giro per Mosca ognuno dalle attività più disparate (ci mancava solo il ristorante soul di Aretha Franklin con John Lee Hooker che suona per strada), con spunti divertenti e anche importanti per la narrazione. Ma si poteva aggiungere un giorno in più in cui, finalmente, provavano. Anzi, probabilmente avrebbe aumentato la tensione prima dell'esibizione e alimentato i rapporti tra i personaggi. Invece così, chiunque abbia mai messo piede, anche solo una volta in vita sua, in un concerto di musica sinfonica non può uscirsene che con un: ma che cazzata! La parte musicale, che fin dal titolo dovrebbe aver parte predominante nel film, viene ancora una volta svilita. Far coincidere l'ossessione del protagonista verso quel concerto con la storia della violinista è un ottimo spunto. Ma poteva e doveva essere sottolineata la tensione artistica che provoca altrettanta tensione umana. E poi cosa c'entra il movimento della prima sinfonia di Mahler mentre la violinista mette sul piatto il disco del concerto di Tchaikovskij? Misteri...
Proprio ieri ho sentito un'intervista a Ramin Bahrami, che raccontava la sua ossessione per la musica di Bach. A prescindere da intrecci narrativi esterni. E' proprio quella il motore dell'estro artistico, che spinge Mozart a continuare a scrivere in letto di morte, e Salieri a invidiarne la grandezza. Beethoven a comporre senza udito e Sonny Rollins a suonare di notte sul ponte di Brooklyn. Altro che Cigno Nero...  






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