5 Ottobre 2013
Quando sai già la storia, te la ricordi perché la tua vita ha incrociato quei tempi e anche se al momento dell'incidente eri proprio piccolissimo sai bene come andò a finire e ti ricordi Lauda come un pilota imbattibile, e tuttavia questo film ti lascia col culo attaccato alla poltrona e ti fa emozionare, allora Mr Howard, missione compiuta.
La storia era già scritta, certo, i personaggi son già forti, ceeeerto, non s'è inventato niente, ceeeeeeeeeeeerto! Non ho sentito da nessuno queste stronzate, me ne sono tenuto alla larga, ma già me li immagino i supercritici. Quelli che un film yemenita su una giovane vedova che va tutti i giorni a prendere l'acqua al pozzo è un capolavoro a prescindere. Signori e signorini tromboni da salotto che hanno come riferimento più alto Tarantino e le tette della Lucarelli, secondo voi uno di questi dicendo che la sceneggiatura ha qualche buco ha un minimo di seria credibilità? Non che da noi se ne abbia, ma tutto quello che cerchiamo sono filmoni con sangue e adrenalina da accompagnare con cestoni maxi di popcorn e una cocacolina bella fresca, che al cinema la birra non la vendono. E Rush non chiede di meglio. Emozioni a fior di pelle, adrenalina pura. Ci sono tutti gli elementi del grande classicone americano sulla rivalità che è anche amicizia, sull'estro puro contro il gelido calcolo. Genio e sregolatezza contro studio pazzo e disperatissimo. Chi vince? Il bello è che alla fine non vince nessuno, il film non ha il finalone trionfalone trombone e buonista. Vincono tutti e non vince nessuno, ognuno continua per la sua strada, affrontando la vita o subendola con tutte le inclinazioni e le indoli che compongono l'umana sfera. James Hunt è il George Best dell'automobilismo: velocità di pensiero ed esecuzione, talento puro, passione incontrollata e anche patologica per i piaceri della vita, la velocità, l'alcol, le donne. Quella tendenza all'autodistruzione che rende l'umano eroe romantico e il romantico antieroe umano. Chris Hemsworth, che lo interpreta, è ancora un po' troppo Thor per risultare credibile fino in fondo. E' bello, fin troppo, affascinante, ma non ha nulla però né del look anni '70 dell'originale Hunt, né quella sua scintilla di lucida follia nello sguardo.
Niki Lauda è il computer, il freddo calcolatore, quello che sa di correre un rischio e non lo evita, anzi lo conteggia: non più del 20% di rischio è ammesso nelle sue azioni. E' impopolare e antipatico, perché dice pane al pane e vino al vino, non media, non vuole piacere e infatti non piace. Però è preciso come un bisturi, non spazzola le curve ma le disegna al millimetro, non guadagna millesimi nelle manovre spericolate, ma esegue tutte le sue mosse alla perfezione per non lasciare spazio all'imprevisto. Daniel Brühl è immenso nell'interpretarlo. La mimica facciale che lo rende simile a un topo, come Hunt chiama Lauda per deriderlo e stuzzicarlo, gli occhi - lui sì - illuminati, l'ostinata determinazione che traspare in tutta la sua gestualità. Perfetto.
Ciascuno dei due non sarebbe però nulla se non ci fosse l'altro. Hunt arriva in Formula 1 perché non può essere da meno di Lauda che ci è arrivato prima di lui. Lauda si riprende dal terribile incidente a tempo record perché non può stare inerme a guardare in tv i successi dell'avversario. E anche se si sa benissimo come va a finire, il cuore batte in tutte le sequenze del film e il fiato si sospende quando e come Ron Howard vuole. Elementi semplici, trattati con maestria: velocità e rabbia, istinto e voglia di vincere, alcol, droghe e nervi a fior di pelle. Il motivo per cui un uomo accetta di mettere a repentaglio la propria vita solo per star davanti a tutti gli altri è qualcosa che affonda le sue radici nell'ancestralità dell'essere umani, ma non ci va di far pipponi psicopedagogici né tantomeno filosofici. Chi se ne frega. Vivere fianco a fianco con la morte ci fa sentire vivi, è lo slogan di James Hunt. Che tristemente finisce la sua esistenza a 45 anni per colpa di un infarto dopo non essere riuscito a combinare più nulla dopo quel campionato. La parabola del pilota, l'ineffabile metafora di Enzo Ferrari, colpisce tutti prima o poi. Perfino i talenti più inesauribili della velocità, Michael Schumacher e Valentino Rossi non possono sottrarsi a questa legge fondamentale: "all'inizio - dice Enzo Ferrari - il pilota è affamato di vittoria, spende ogni grammo della sua energia per raggiungere l'ambito obiettivo, spesso supera i limiti a volte evidenti del mezzo meccanico e in una specie di trance agonostica raggiunge la vittoria mondiale ma poi, distratto e logorato dalla fama, dagli agi e dagli impegni sempre più pressanti e numerosi dovuti alle incessanti richieste di tutti, perde quel tocco magico e si avvia prima o dopo ad un lento ma inesorabile declino verso la mediocrità, fino a quando decide di dire basta e ritirarsi. Per alcuni piloti ciò avviene più repentinamente, altri raggiungono ancora una, due o più volte la consacrazione, ma per tutti arriva poi il momento fatale di lasciare un mondo che non riconoscono più come proprio". Una legge inconfutabile e valida per tutti i piloti che si sono ritirati prematuramente, come Hunt, o dopo tanti altri successi come Lauda. Una legge però imperfetta, perché lascia fuori dal suo calcolo tutti i piloti che hanno lasciato il proprio sangue e la propria vita sull'asfalto, che hanno donato tutto alla causa della velocità, rimanendo come monumenti gloriosi nella memoria collettiva alla sfida permanente. Tutti questi piloti, in fondo dei pazzi irresponsabili, li ricordiamo come fossero veri eroi e, in fondo, siamo un po' meno tristi per averli visti morire sulla strada, anziché ritirati, imbolsiti e abbattuti dalla vita. Il gesto di estrema ribellione, che li ha visti morire per ribadire la loro sconfitta sulla morte stessa, ha reso per sempre eroi dell'insensato personaggi come Marco Simoncelli, Ayrton Senna, Daijiro Kato, Gilles Villeneuve, Michele Alboreto e tanti altri campioni, fino a giungere all'età eroica e pioneristica dei motori, con i nomi cantati da Lucio Dalla: Varzi, Campari, Borzacchini e Fagioli, Brilliperi e Ascari.
Ma, a pensarci bene, rimane un solo eroe ancora vivo, passato tra le fiamme con orribili mutilazioni e ancora oggi vivo e con la stessa identica voglia degli inizi di sfidare la vita, con normalità. Probabilmente l'esser sopravvissuto a un incidente drammatico gli ha donato nuova vita e nuovi modi di applicare alla vita il suo fuoco. Il suo nome è Alex Zanardi.